Due notizie pubblicate di recente riportano l’attenzione sul tema della così detta Gig economy. Due notizie che di per sé fra loro non hanno nulla a che vedere, se non il fatto che mostrano due facce della stessa medaglia. Limiti e potenzialità di questa economia on demand.
C’è un tema sociale e un tema di cambiamento, un tema di trend e un tema di economia del lavoro. Chiaramente sto parlando dello sciopero su Milano e Torino dei Rider di Foodora dai più interpretato come il primo segnale della crisi di questo sistema, ma parlo anche della nascita di Gig Projects, il primo cashback sociale che fa guadagnare chi dona.
Facciamo un passo indietro e definiamo innanzitutto la tematica.
Quali sono le origini della Gig Economy?
Il proliferare di piattaforme di sharing economy da una parte e la crisi del mercato del lavoro dall’altra hanno contribuito fortemente allo sviluppo della Gig economy, dove il temine Gig sta per lavoretto. Nella fattispecie si tratta di vere e proprie piazze digitali sulle quali si incrociano domanda e offerta di diverse tipologie di prestazioni che vanno dallo svuotare un garage, al portare a spasso il cane, dal pulire casa al dipingere una parete. Insomma bisogni che incontrano bisogni senza necessariamente passare da professionisti esperti e molto costosi.
Non mi soffermo ad analizzare se è bene o se è male, non voglio perdermi in una polemica sul capitalismo (sterile, se non la si affronta con adeguati strumenti economici, storici e sociologici), di sicuro c’è che siamo al di fuori dei classici schemi, di sicuro c’è che la capacità di adattarsi della specie passa anche dalla capacità di sfruttare la tecnologia e gli strumenti digitali per andare avanti e soddisfare necessità, lavoro compreso, in maniera socialmente destrutturata.
Certamente è oggi più che mai necessaria una politica che da una parte regoli in maniera chiara tali flussi che al momento non vengono né misurati in termini di Pil né gestiti in materia di inquadramento professionale; e che dall’altra sia lungimirante e non costantemente all’inseguimento o punitiva. Secondo un recente studio condotto dalla società McKinsey, entro il 2025 più di 540 milioni di persone avranno accesso a grandi opportunità grazie alle piattaforme tecnologiche: in particolare almeno 200 milioni di inattivi professionalmente, o impegnati solo part time, potranno aumentare le proprie entrate grazie ai gig offerti su queste piattaforme.
La Gig economy come opportunità
È vero che Gig economy è spesso sinonimo di “nero” facile, ma è anche vero che per molti freelance potrebbe essere un’occasione di business e qualità di lavoro da non sottovalutare.
Oggi che il posto fisso, gli uffici fissi e i cartellini da timbrare stanno quasi ovunque andando in pensione, la Gig economy può a mio avviso essere lo slancio giusto per valorizzare freelance molto specializzati che, stanchi della difficile vita aziendale, mollano tutto per inseguire i propri talenti, talvolta anche trasformando “un hobby ben retribuito” in un lavoro vero che regala grandi soddisfazioni e fa dimenticare i mal di pancia. Collaborazioni brevi legate a progetti che soddisfano ambo le parti, committenti e professionisti, il tutto a scadenza, e con grande libertà.
E se volete fidelizzare il freelance non vi basterebbe che prenotarlo a ripetizione sui progetti migliori!
Ci troviamo costantemente di fronte a opportunità brillantemente travestite da problemi insolubili! (J. W. Gardner. Membro del governo nell’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson)