“Questo matrimonio s’ha da fare’”. In perfetta antitesi con la celebre frase rivolta a Don Abbondio dai Bravi, nel romanzo storico de “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, arriva, forte e chiaro, il nuovo appello del movimento spontaneo Italian Wedding Industry, per fare ripartire, già dalla fase 2 e con date certe, la filiera del Wedding. Nato in Sicilia e diventato virale in tutta Italia, dall’imprenditore Umberto Sciacca e dalla event manager Barbara Mirabella, IWC, ha già raccolto oltre 4000 firme, coinvolgendo anche prestigiosi brand italiani, leader mondiali, di abiti da sposa, sposo e cerimonia, fino a tutti gli operatori della filiera matrimonio, e continua a muovere istanze per far sì che il comparto riceva la dovuta attenzione da parte del Governo nazionale, dopo l’annullamento, ad oggi, di oltre 17 mila matrimoni in tutta l’Italia.
“Sono 50 mila i matrimoni che, secondo le stime ufficiali, salteranno tra maggio e giugno 2020 – dichiara Barbara Mirabella -. Ciò significherà, per tutto il comparto, disdette di mesi e un intero settore completamente falcidiato. Abbiamo inviato una lettera al Governo con ben diciannove punti sui quali porre l’attenzione, primo tra tutti il bisogno di date certe, e chiare regole di salvaguardia, compatibili con la sicurezza sanitaria. La pianificazione anticipata è elemento fondamentale per lo svolgimento dell’attività di organizzazione degli eventi. Solo con un calendario chiaro e coerente delle riaperture, anche il mondo della wedding industry potrà riprendere il proprio lavoro. Per convivere senza rischi per la salute con il virus, è necessario anche un confronto con gli ordini professionali, come ingegneri, architetti e geometri, professionisti abilitati, che accompagnino gli imprenditori per ridisegnare, ad esempio, la capienza delle ville per ricevimenti o anche quelle degli stessi atelier, definendo nuove regole di salvaguardia. Stabilendo nuove modalità di fruizione di servizi come il catering, intendiamo metterci a disposizione delle istituzioni per riscrivere il decalogo del “Far bene”. In questo modo si potrebbero fornire date certe per la riapertura programmata di tutte le attività aggregative, che ogni anno assicurano 40 miliardi di fatturato, consentendo un’adeguata pianificazione e l’avvio delle prenotazioni”.
Parole chiare, che mostrano una competente e studiata volontà riorganizzativa e che puntano i riflettori anche su categorie di negozi come gli atelier da sposa, assimilatati tout court al settore commercio, e quindi considerati in grado di riaprire già dal 18 maggio, nonostante il loro target di riferimento, cioè la cerimonia e l’alta moda sposa, non possa essere finalizzato, poiché è vietato partecipare e festeggiare le ricorrenze e i riti come i matrimoni. Italian Wedding Industry, quindi, propone che gli eventi, nel pieno rispetto delle distanze di sicurezza, abbiamo una nuova lettura nel modus operandi e nei layout organizzativi: no al buffet, sì al servizio al tavolo con mice en place, che garantiscano un distanziamento spaziale corretto (Es 4 pax su tavoli da 8). Il movimento ritiene, altresì, indispensabile consentire, ancor prima della fase 2, la possibilità per le coppie di sposi di visitare, su appuntamento e con mascherine e dispostivi di sicurezza, le location per cominciare a dare un segnale di ripresa agli operatori dell’ospitalità e ai clienti, per pianificare una ripartenza con le dovute salvaguardie per i consumatori (Contratti sospesi fino a nuova indicazioni del governo).
“Siamo davvero preoccupati per ciò che accadrà a partire dal 18 maggio – dichiara Umberto Sciacca -. La semplice riapertura degli atelier, con l’imposizione di sanificare gli abiti, senza l’adozione di precise misure a tutela del lavoro di tutti gli operatori del comparto, non ci permetterà di coprire le spese vive, ma soprattutto di recuperare al gravissimo danno subito negli ultimi due mesi. A questo punto le parole stanno a zero: abbiamo bisogno che vengano elaborate dal Governo nazionale, e nel più breve tempo possibile, delle misure che consentano la ripresa dei matrimoni, intesi come eventi aggregativi. Se questo non accadrà, a chi dovremo vendere i nostri lussuosi abiti con ricami, pizzi e merletti? Come faremo a pagare gli esosi affitti? E come potremo rispettare gli accordi economici con i nostri fornitori, per evitare il blocco totale del sistema?”.