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Siamo arrivati alla resa dei conti: le elezioni presidenziali americane del 2024 vedono Donald Trump e Kamala Harris competere per la guida degli USA da gennaio 2025 in un testa a testa che determinerà cambiamenti significativi non solo all’interno dei propri confini ma anche nel resto del mondo. Harris, attuale vicepresidente, rappresenta la continuità con l’amministrazione Biden, di cui ha condiviso ogni decisione politica, mentre Trump è già stato alla guida del Paese dal 2017 al 2021, portando avanti una politica “America First” che ha puntato al protezionismo e a un netto disimpegno dalle responsabilità internazionali.
Kamala Harris: la continuità con l’attuale amministrazione
Nonostante i toni della sua campagna, presentata con un nuovo slancio progressista, Kamala Harris rappresenta una continuità inevitabile con l’attuale amministrazione. La vicepresidente non ha mai realmente preso le distanze dalle linee guida di Joe Biden, condividendo approcci e visioni, soprattutto in ambito internazionale. Se da un lato promette un maggiore dialogo con gli alleati europei, dall’altro è difficile aspettarsi una vera discontinuità rispetto all’attuale politica estera americana, che, pur restando su una linea diplomatica, si è spesso limitata a interventi poco incisivi nei principali focolai di crisi, come l’Ucraina e il Medio Oriente. L’amministrazione Biden-Harris, pur adottando un linguaggio di apertura, non ha realizzato passi decisivi per fermare le escalation, preferendo mantenere un atteggiamento di cautela che finisce per lasciare irrisolti alcuni dei problemi più critici a livello globale.
Va invece riconosciuto che sotto Biden e Harris, gli Stati Uniti hanno cercato di abbattere le barriere burocratiche per favorire l’arrivo di visitatori internazionali. Dopo la crisi pandemica, che ha causato un rallentamento senza precedenti nelle emissioni di visti, il Dipartimento di Stato ha lavorato per ridurre i tempi di attesa per le richieste di visto. Nel 2023, è stato riportato il personale consolare ai livelli pre-pandemici e, attraverso l’esenzione per i colloqui di visto, sono state evase decine di migliaia di richieste ogni settimana tramite procedure a distanza. Grazie a questo approccio, gli Stati Uniti sono attualmente in linea per raggiungere l’obiettivo di 90 milioni di visitatori internazionali entro il 2026, con un anno di anticipo rispetto ai piani iniziali. Nel 2024, l’amministrazione ha rilasciato 11,5 milioni di visti, di cui 8,5 milioni per turismo, con un aumento del 10% rispetto al 2023. Questo aumento rappresenta un segnale importante per il settore, che spera in una continuità nelle politiche che facilitano l’ingresso di visitatori dall’estero.
Donald Trump: un ritorno che non sorprende
La candidatura di Donald Trump porta con sé l’ombra di una politica già vista all’opera. Con il suo programma “America First,” Trump ha spesso preferito un approccio isolazionista e una forte riduzione dell’impegno americano in molte aree del mondo, allontanandosi dagli alleati e mettendo in dubbio il ruolo degli Stati Uniti nelle alleanze storiche come la NATO. Sul fronte economico, minaccia di reintrodurre dazi sui prodotti europei, penalizzando le esportazioni e minando i rapporti commerciali transatlantici. La sua gestione è stata segnata da un continuo oscillare tra dichiarazioni provocatorie e minacce, che hanno avuto l’effetto di destabilizzare le relazioni con l’Europa e con altri partner strategici. Se Trump dovesse vincere, si prospetta una replica di questo approccio: un orientamento deciso verso il disimpegno internazionale, con l’effetto di lasciare i nodi irrisolti in quelle che sono ormai diventate vere e proprie polveriere mondiali.
A questo bisogna aggiungere che durante l’amministrazione Trump, l’accesso agli Stati Uniti era stato reso più complesso, con una netta diminuzione delle concessioni di visto anche prima della pandemia. Questo atteggiamento ha portato a un calo nel numero di visitatori internazionali, scesi a 79,4 milioni nel 2019, una leggera diminuzione rispetto agli anni precedenti. Uno dei provvedimenti più controversi di Trump è stato il “travel ban” del 2017, che ha bloccato l’ingresso ai cittadini di Paesi come Iran, Iraq, Libia, Somalia, Sudan, Siria e Yemen. Anche se queste nazioni non figuravano tra i principali mercati di provenienza dei turisti per gli Stati Uniti, il travel ban ha avuto un impatto simbolico, contribuendo a una percezione negativa dell’accessibilità del Paese.
Implicazioni per il turismo europeo
L’industria turistica europea è strettamente legata ai flussi di visitatori provenienti dagli Stati Uniti che sono oggi i principali clienti dell’UE, visto il blocco verso la Russia e la lenta ripresa dei flussi con la Cina. Le politiche adottate dal futuro presidente americano potrebbero influenzare questi flussi in vari modi:
- Politiche di viaggio e sicurezza: Un’amministrazione Harris potrebbe promuovere accordi internazionali che facilitino i viaggi transatlantici, implementando misure coordinate e standardizzate. Al contrario, una presidenza Trump potrebbe introdurre restrizioni più severe, in linea con una visione più protezionista, rendendo i viaggi verso l’Europa meno agevoli per i cittadini americani.
- Relazioni transatlantiche: Harris ha espresso l’intenzione di rafforzare le relazioni con l’Unione Europea, il che potrebbe tradursi in iniziative congiunte per promuovere il turismo e facilitare gli scambi culturali. Trump, invece, ha spesso adottato una posizione critica nei confronti dell’UE, il che potrebbe portare a tensioni diplomatiche e a una diminuzione della cooperazione nel settore turistico.
- Politiche economiche e cambi valutari: Le decisioni economiche del prossimo presidente influenzeranno il tasso di cambio tra dollaro ed euro. Una politica fiscale espansiva potrebbe indebolire il dollaro, rendendo i viaggi in Europa più accessibili per gli americani. Al contrario, politiche restrittive potrebbero rafforzare il dollaro, rendendo l’Europa una destinazione più costosa e potenzialmente riducendo il numero di turisti statunitensi.
Differenze nei rapporti con il settore travel
Biden e Harris hanno adottato un approccio più rigido nelle regolamentazioni per le compagnie aeree, respingendo la fusione tra JetBlue e Spirit Airlines e disapprovando l’alleanza di JetBlue con American Airlines. Hanno inoltre imposto nuove regole a tutela dei consumatori, tra cui l’obbligo di rimborsi automatici e una maggiore trasparenza sui prezzi, un regolamento che l’amministrazione Trump, focalizzata sulla riduzione delle normative, aveva eliminato. Il Dipartimento dei Trasporti ha inoltre sanzionato Southwest e American Airlines per milioni di dollari per violazioni che riguardavano la gestione dei disabili e l’interruzione dei servizi. L’approccio di Trump, più orientato alla deregolamentazione, a suo tempo ha sicuramente favorito le grandi aziende, mentre Biden e Harris hanno mostrato una maggiore attenzione al consumatore finale, intervenendo anche sulle cosiddette “junk fees”, le tariffe poco trasparenti spesso applicate dagli hotel e dalle compagnie di affitto a breve termine.
L’impatto per l’Europa e per il turismo
Gli operatori turistici americani con cui ho parlato si mostrano poco inclini a favorire un ritorno di Trump. Le sue politiche hanno ridotto i flussi turistici e creato incertezza per le collaborazioni internazionali; tuttavia, il sentire comune è che anche che una vittoria di Harris non cambierà molto nell’atteggiamento degli Stati Uniti sulle questioni internazionali. L’Europa, ad esempio, continuerà a fare affidamento sulla stabilità interna per attrarre turisti americani, che cercano destinazioni sicure e culturalmente interessanti, ma resta vulnerabile agli effetti di una politica americana che non prende decisioni nelle aree di crisi. Il conflitto in Ucraina e la tensione crescente in Medio Oriente sono situazioni che, se non risolte, non solo influenzeranno i flussi turistici, ma condizioneranno l’economia e la percezione di sicurezza delle regioni vicine, con rischi crescenti di escalation poco desiderabili.
Un cambio di presidente cambierà davvero qualcosa?
Al di là delle parole di apertura e delle promesse elettorali, rimane difficile credere che un cambiamento di presidente porterà a un approccio più diplomatico e risolutivo sui principali scenari di crisi globale. L’impegno degli Stati Uniti, indipendentemente dal vincitore, sembra orientato a una politica di interesse, più attenta alle dinamiche interne che a una reale stabilizzazione internazionale. Quindi sicuramente lavoreranno per rendere il proprio paese più attrattivo per i turisti, ma nello scenario internazionale non sembra che la diplomazia sia loro arma migliore. Harris potrà vantare una retorica di cooperazione e inclusione, ma il fatto di aver condiviso ogni passo dell’amministrazione Biden lascia ben pochi margini per un reale cambio di direzione. Trump, invece, ha già mostrato il volto di una politica diretta e, spesso, destabilizzante, con scarse attenzioni per le dinamiche diplomatiche.