E’ stato annunciato e firmato nella serata di domenica 18 ottobre il nuovo Decreto della Presidenza del Consiglio dei ministri che, nel tentativo di frenare la seconda ondata della pandemia covid-19, dà una nuova batosta al settore degli eventi aziendali. Con effetto immediato, infatti, è sospesa tutta l’attività convegnistica e congressuale in presenza fino al 13 novembre, sono sospese sagre e fiere locali (di comunità), mentre sono consentite fiere di carattere nazionale e internazionale. In questo periodo convegni e congressi saranno consentiti solo in modaltà a distanza, vale a dire da remoto. Un fulmine a ciel sereno per un settore che da solo un mese aveva ricominciato a programmare e realizzare eventi, anche con ingenti investimenti per adeguarsi ai protocolli si sicurezza.
Il testo del DPCM (scaricabile qui) lascia aperti diversi dubbi: l’attività convegnistica nelle fiere è dunque da ritenersi sospesa, anche se fatta seguendo il protocollo già approvato? gli eventi di formazione in presenza vanno assimilati a convegni e congressi? Sembrerebbe di no, ma il dubbio è lecito: in attesa di chiarimenti ci sono molti organizzatori di eventi che dall’oggi al domani hanno rimandato gente a casa, con danni economici notevoli.
L’assurdità in questo annuncio è stata quella di non fornire spiegazioni sulla presunta pericolosità dei congressi e dei convegni aziendali, nonostante l’obbligo di mascherina e alternanza di posti tanto, da richiedere lo stop immediato. Una disparità di trattamento rispetto, ad esempio, a palestre e piscine per le quali non è stato previsto nulla se non un invito in diretta del presidente del Consiglio Giuseppe Conte ad adeguarsi entro una settimana ai protocolli già vigenti, pena la chiusura. L’annuncio, inoltre, è stato mitigato giusto da un vago accenno al fatto che gli imprenditori danneggiati saranno in qualche modo risarciti, ma non è dato sapere come e se riguarda solo chi è stato danneggiato direttamente o anche tutto l’indotto che non potrà lavorare.
Nel weekend, quando già dalle prime bozze era emersa la nuova possibilità di chiusura, si erano susseguiti gli appelli degli operatori di settore. Maurizio Danese, presidente di AEFI, l’Associazione che riunisce 40 operatori fieristici nazionali aveva dichiarato: “Siamo sconcertati dalle indicazioni del CTS che suggerisce la limitazione temporanea alla fruizione di eventi a grande aggregazione di pubblico, tra cui fiere e congressi. Le fiere hanno protocolli molto rigidi in materia di salute e sicurezza, validati dallo stesso CTS, che vengono rispettati in ogni fase della manifestazione, compresi allestimenti e disallestimenti. Inoltre le fiere sono agevolate dai grandi spazi in cui si svolgono che permettono di garantire un distanziamento di ben oltre due metri, senza dimenticare la ridotta partecipazione a seguito della pandemia. Dalla riapertura del 1° settembre, tutte le manifestazioni dei nostri associati si sono svolte in totale sicurezza, con grande soddisfazione degli espositori italiani per il business generato”.
In una nota stampa Federcongressi aveva aggiunto: “Quando il Governo non sa cosa fare di fronte al Covid19 chiude le fiere e i congressi causando un danno incalcolabile al sistema economico delle principali città italiane e a migliaia di imprese. Bloccare le fiere e i congressi significa spegnere l’economia del paese perché non potranno lavorare, non solo le imprese del settore, ma gli alberghi, i ristoranti, i taxi, gli allestitori, le società di catering, le cooperative di facchinaggio e i service tecnici. Si colpisce un settore in cui il distanziamento è semplice e sono stati fatti ingenti investimenti dagli operatori per le misure di sicurezza come rilevatori agli ingressi di temperatura corporea, sistemi di igienizzazione degli spazi, percorsi guidati e conta persone per non creare assembramenti. Non ci sono stati focolai di contagio nelle fiere e nei congressi appena svolti. Chiudere adesso significa non poter neppure programmare l’attività del 2021 distruggendo un intero settore che invece resta aperto in altri paesi europei con tassi di contagio ben più alti del nostro”.
Chiaramente nelle dichiarazioni degli operatori di settore è ben chiaro che fiere e congressi vanno a braccetto. Non riusciamo invece a capire la ratio nel dire le fiere sì e i congressi no, se non il tentativo di operare un “divide et impera” nel settore, soprattutto alla luce delle bozze di decreto circolate domenica in cui in una prima stesura erano consentiti anche i congressi, depennati poi nelle ore successive. Questa strategia del “contentino” non può però funzionare, intanto perché gli organizzatori fieristici rappresentano solo una minima parte degli operatori congressuali, e poi perché le fiere senza attività convegnistica sono depotenziate, togliendo ai visitatori uno dei motivi principali di partecipazione.
Una scelta folle da parte di un governo che prima detta regole su come convivere con il nuovo coronavirus e poi smentisce se stesso dichiarando di fatto che quelle stesse regole non bastano per minimizzare il contagio, così come è toccato al mondo della ristorazione che ora ha l’obbligo ulteriore di chiudere entro mezzanotte, fare solo servizio al tavolo dalle 18 in poi, non consentire tavoli oltre alle 6 persone e verificare che cibi da asporto non vengano consumati nelle adiacenze del locale. Tutto questo per evitare gli assembramenti: i divieti però non valgono nelle aree di servizio poste lungo le autostrade, rendendo profetico un verso di Ligabue di 25 anni fa: “Certe notti, coi bar che son chiusi, al primo autogrill c’è chi festeggerà”.