Il mondo del turismo è cambiato per sempre oppure la crisi che stiamo vivendo è solo passeggera e tra un anno sarà dimenticata? Questa è probabilmente la domanda del secolo per l’industria dei viaggi italiana, alle prese con la ripresa post lockdown da pandemia covid-19. Una pandemia che ha azzerato gli arrivi dall’estero e ha bloccato per i mesi a venire il turismo, i congressi, gli eventi e il business: in pratica tutti i motivi per prenotare un albergo in Italia. Così, pur formalmente aperti, gli hotel sono quelli che più hanno sentito la crisi e molti hanno preferito chiudere. Le prenotazioni sono crollate del 90%, limitate a soggiorni di personale medico e di viaggi di lavoro essenziali. Con l’arrivo dell’estate vediamo riaperture nelle località di villeggiatura ma le grandi città restano ancora per lo più vuote, anche per la mancanza di voli e di turismo straniero.
Per questo oggi non possiamo sapere con certezza la risposta, per via di una crisi che da noi sta passando, ma in altri posti del mondo ancora galoppa. Però possiamo forse trovare delle indicazioni nell’ultima grande crisi che il turismo ha vissuto e negli strascichi che ha portato con sé.
Le analogie con il 2001
Tutti ricordano dove erano e cosa stavano facendo l’11 settembre del 2001: una data che ha segnato un’epoca, che ha portato nuovi controlli di sicurezza negli aeroporti a cui oggi siamo abituati e che passiamo in scioltezza. Quella crisi portò un mutamento forte nel modo di viaggiare: le difficoltà delle compagnie aeree tradizionali portarono allo sviluppo delle compagnie low cost, alla possibilità di viaggiare per molte più persone e, a dispetto della crisi, a un turismo di massa che sembrava inarrestabile, amplificato ulteriormente nell’ultimo decennio dalla sharing economy e dall’ascesa di Airbnb.
Se andiamo a vedere le statistiche degli ultimi anni, queste parlavano di un turismo in grande crescita in tutto il mondo, con l’Italia stabile al 5° posto tra le destinazioni più visitate. Un ottimismo che aveva portato tanti operatori a investire sul turismo sull’onda di tanti che profetizzavano un’Italia che avrebbe potuto campare solo di questo: cosa mai sarebbe potuto andare storto? Se ci fate caso neppure un anno fa le parole chiave in tutti i convegni di settore riguardavano la sostenibilità, il pericolo dell’overtourism e l’importanza di distribuire i flussi turistici su tutto l’arco dell’anno, ma nessuno aveva mai neanche paventato la possibilità di una crisi, figuriamoci di queste dimensioni. Le principali preoccupazioni erano la riduzione della plastica e dei rifiuti, oggi quasi dimenticate e con un nuovo pericoloso rischio di inquinamento da mascherine usate, tutto meno che biodegradabili.
Oggi le preoccupazioni riguardano la sopravvivenza futura dei business e la speranza è che almeno l’estate non vada troppo male. Se è vero che l’Italia resta la meta più desiderata al mondo per le ricerche su Google, oggi sconta due problemi a livello di turismo internazionale: per molti resta il paese da cui la pandemia ha iniziato a diffondersi e non è percepita come luogo sicuro. In più alcuni paesi che ora vedono un’impennata dell’epidemia saranno per lungo tempo chiusi al turismo in Italia. Il turismo internazionale sarà principalmente europeo: dalla Germania, dal Regno Unito, dalla Francia e così via, e dovremo confrontarci come gli altri anni con la Spagna, che ha avuto un decorso della pandemia simile al nostro ma ora assiste a una ripresa in Catalogna e con la Grecia, rimasta un porto sicuro. Per competere le strutture ricettive, i ristoranti e tutti gli operatori del settore dovranno investire su sicurezza e formazione del personale ma, soprattutto, comunicare la qualità del proprio prodotto e del perché vale un viaggio: solo i turisti più motivati arriveranno a destinazione.
L’importanza di far percepire la sicurezza
Ora, se oggi ci sembra normale riempire una busta trasparente con 10 contenitori di liquidi da 100 ml, molti neanche sanno che la misura fu presa per evitare di imbarcare in cabina liquidi che da soli o combinati potessero dar luogo a una miscela esplosiva. Nel 2001 non mancarono le polemiche sulle nuove norme, ma si andò avanti nel nome della percezione di sicurezza da dare ai viaggiatori.
Ricordatevi della parola percezione perché è alla base di quello che sta succedendo in questi mesi: il mondo non è diventato più sicuro con i metal detector e abbiamo convissuto per lungo tempo con il rischio di attentati, attuati poi in modi diversi anche in Europa: Madrid, Londra, Parigi, Nizza, Bruxelles, Berlino. Il mondo però nel frattempo è diventato quasi refrattario a queste notizie: anche dopo Charlie Hebdo e il Bataclan, appena 5 anni fa, il turismo a Parigi è ripreso in pochissimo tempo, quasi rassicurati dal fatto che dopo ogni episodio terroristico venissero annunciate misure di controllo più stringenti.
Allo stesso modo oggi gli operatori stanno forse più creando la percezione di andare in luoghi privi di virus: protocolli di pulizia, marchi di qualità, tecnologie di sanificazione, regole da seguire per fornire l’idea che si sta viaggiando in un luogo sicuro. Tutti questi nuovi accorgimenti sono sicuramente necessari per arrivare a vivere una nuova normalità in cui si possa convivere con la presenza di virus senza per questo andare nel panico.
Il rischio di ammalarsi di coronavirus covid-19 infatti resta attuale anche con la diminuzione dei casi sintomatici perché le precauzioni sono spesso lasciate al giudizio del singolo e la percezione del pericolo passato fa, a volte anche inconsciamente, abbassare le barriere. Questo durerà almeno fino a quando non saremo del tutto refrattari alle notizie di nuovi contagi, saremo abituati a indossare mascherine in viaggio, magari anche alla moda, e considereremo il virus da covid-19 non più pericoloso di altri che si possono prendere in giro per il mondo. Magari l’arrivo di una cura approvata dalla comunità scientifica potrà accelerare questo processo, che altrimenti rischia di essere lungo e complesso e richiedere diversi anni perché sia considerato la normalità. E chissà se allora ci ricorderemo dove eravamo nella notte tra il 7 e l’8 marzo 2020 quando venne chiusa la Lombardia, con il famoso assalto ai treni della sera per il sud, seguita il giorno dopo da tutta l’Italia.