di Sergio Cucini, albergatore e property manager

Sollecitato da un amico consulente a partecipare a una polemica innescata dall’articolo di Martina Coscetta pubblicato su Huffpost il 4 novembre scorso col titolo “5000 hotel in vendita in Italia. Airbnb ha fatto una selezione naturale”, ho evitato di farmi coinvolgere e preferito leggerlo con calma per commentarlo su QualityTravel e mettere un pò di ordine in tanta imprecisione e congerie di luoghi comuni.
L’articolo corrobora la tesi dell’autrice con dichiarazioni di Patrizia Rinaldis (presidente di Federalberghi Rimini) e Riccardo Staglianò, autore de “L’affittacamere del Mondo. Airbnb è la nostra salvezza o la rovina delle città?” che mi limiterò a riportare per confutare o correggere le dichiarazioni, senza predisporre un fact checking puntuale della corrispondenza di quanto scritto con le tesi sostenute dai citati o il contenuto della pubblicazionem, che non ho letto.

Si parte dalla rilevazione del numero di strutture in vendita tra la riviera romagnola e le altre destinazioni turistiche per arrivare allo sbalorditivo numero di poco meno di 5000 unità (intorno al 16% della consistenza di strutture alberghiere censite nel 2019) con schede individuali in teoria pubbliche e consultabili. In realtà nel metodo proposto abbiamo trovato molti meno annunci di alberghi in vendita quelli teorizzati dall’articolo. Ciò non toglie che ce ne sia comunque un gran numero in vendita, ma molte trattative, specie quando trattano cifre importanti, non passano certo da siti pubblici di annunci. Quindi il tema esiste, ed è sicuramente stato generato dalla crisi del settore a causa dei blocchi alla circolazione delle persone, rimedio adottato nelle fasi emergenziali della pandemia, oltre a problemi aziendali e sistemici che, leggendo l’articolo, vengono individuati nella fatiscenza delle strutture, l’inadeguatezza dell’offerta alle nuove esigenze del mercato (di cui si fatica a capire l’evoluzione in termini operativi e strategici), la carenza di personale riscontrata quest’anno, l’evoluzione negativa della propensione del mondo bancario a finanziare gestioni con flusso di cassa negativo, la rigidità della struttura dei costi e modelli organizzativi troppo polarizzati su gestioni a conduzione familiare senza giovani a cui trasferire le attività.

La tesi individua in Airbnb il killer che ha dato il colpo di grazia a coloro che dell’ospitalità hanno fatto una professione poichè avrebbe coordinato un’invasione di microstrutture che ha provocato l’erosione di importanti fette di mercato dell’ospitalità beneficiando di costi fissi ridotti, tassazione di favore, mancanza di regole, metodi di gestione all’avanguardia e modello di ospitalità adeguato alle esigenze della clientela del terzo millennio. A corroborare la sintesi, l’autrice dell’articolo riporta affermazioni di difficile verifica secondo cui Airbnb avrebbe saputo reagire meglio agli effetti della pandemia modificando l’algoritmo che presenta le strutture a chi utilizza la piattaforma per ricercare dove soggiornare da posti esotici a località più prossime ai richiedenti e proponendo “…strutture innovative e all’avanguardia piuttosto di alberghi vecchi e fatiscenti….”. E la Borsa americana avrebbe premiato con una capitalizzazione di 3 volte la valutazione dell’azienda precedente alla quotazione, dimostrando di avere trovato l’uovo di Colombo per valorizzare il settore invece di chi aveva il compito di gestire strutture obsolete al quale il Covid ha dato il colpo di grazia.

Quando ho terminato la rilettura ho alzato gli occhi e mi sono ritrovato spaesato e perplesso per una retorica che ha trovato un nemico a cui addebitare la responsabilità della decadenza di un settore che è sopravvissuto ai fasti del passato e che ha cercato ostinatamente di contrastare gli effetti che la rivoluzione digitale ha generato nella percezione del mondo, negli affari e nella vita degli esseri umani del terzo millennio.

Partiamo dagli albergatori: frequento da una vita conferenze, eventi, corsi, assemblee dove si parla di marketing, revenue, innovazione di processi e di prodotto, rivoluzione digitale e, non meno importante, tecniche di valorizzazione del fattore umano; dove sono sorte aziende e start up per fornire supporto, dati, informazioni e formazione al mondo alberghiero; per stimolare un’intera categoria ad assumere ruoli imprenditoriali e studiare da capi azienda e non più gestire come portieri, o peggio ancora, come portinai. Un esercito di consulenti affiancano gli albergatori per consigliarli per le scelte tattiche e strategiche e tutti, tutti, cominciano ogni discorso partendo dalla base: il prodotto; che se non c’è, il problema non è comunicarlo!

Servono la location, la destinazione, l’evento ma mancando il prodotto tutto diventa secondario; ed il prodotto, parlando di servizi, è fatto dalle persone che vivono e lavorano in albergo, l’etica che li guida, e dalla struttura che deve accogliere gli ospiti, con le sue caratteristiche ideali, materiali, concettuali di stile, scopo e adeguatezza ai bisogni di chi paga per frequentarla.
L’attività alberghiera è fatta di capitale (tanto) e lavoro (qualificato e motivato); in assenza o carenza di uno o di entrambi, sarà il mercato o le vicende della cronaca a emettere la sentenza del momento in cui è ora di smettere.

Il Covid non ha fatto altro che accelerare il declino e fatto prendere coscienza a così tanti albergatori che la partita era già persa ed il fischio dell’arbitro arrivato senza indugio.
Addebitare ad Airbnb (ma poi perchè solo Airbnb? E Booking, Expedia, Vrbo e le altre piattaforme on-line?) la colpa della fine dimostra non avere ancora capito che i modelli possono cambiare ed il cliente, l’unico e vero giudice dell’attività di chi intraprende, conferma o confuta un’idea di prodotto che diventa vincente o perdente a seconda di quanto il mix dei fattori produttivi è conforme al successo espresso dalle vendite.
Airbnb è uno strumento, il catalizzatore che ha saputo dare una dimensione vincente ad un fenomeno che esiste da molti anni, è cresciuto di dimensione ma è esploso per gli effetti della combinazione dei nuovi modi di interpretare il viaggio: con voli più economici, informazioni più facili da ottenere e domanda di ospitalità meno vincolata alle rigide regole che gli albergatori hanno ideato, in lustri di elucubrazioni, per garantire i consumatori e segnalare il merito secondo gli standard e non la loro preferenza.

La locazione ad uso turistico, beneficiata dagli intermediari digitali, ha potuto emergere e soppiantare un’ospitalità alberghiera che da generalizzata doveva diventare segmentata e specializzata, alla ricerca di una personalità che il consenso del cliente, scegliendola, la ricerca e la premia.
E’ vero: è mancato il lavoro; le entrate, in assenza delle quali i ristori e le azioni ideate dai governi poco o nulla hanno sopperito; i capitali, mancando la fiducia del sistema bancario; il personale, che messo alle strette ha preso la decisione di cercare l’impiego in altri settori e scoprendo condizioni migliori e meglio remunerate; la prospettiva del passaggio del testimone alla generazione successiva (che non ha fatto altro che seguire l’esperienza del personale dipendente e non ha giudicato remunerativo dedicare la propria vita all’azienda); la burocrazia ha fatto più danni del solito; ma è mancata anche la visione dell’ospitalità fuori dagli schemi preordinati che tanta tranquillità concedeva.

Sono stato a Rimini a ITHIC2021 ed ho ascoltato i discorsi degli albergatori vincenti: le catene, i gruppi alberghieri, le società di management e gli imprenditori che hanno capito che la dimensione, nell’industria dell’ospitalità, è indispensabile; ho ascoltato i discorsi dei capitalisti: gente che ragiona di bilanci, opportunità, rendimenti, investimenti pluriennali. Ho sentito parlare di opportunità in previsione di un futuro di ripresa per un’Italia che rimane centrale nell’immaginario di una fetta importante della popolazione mondiale; il problema sono i soldi e chi non ne ha è costretto a vendere, non perchè c’è Airbnb sul mercato!

Ho fatto il sindacalista, assunto ruoli di responsabilità per la promozione di una destinazione e ho sempre cercato di trasmettere ai colleghi la cultura dell’innovazione e del progresso perchè sono la bussola per raggiungere una meta: emergere nella concorrenza e diventare consapevoli del valore da trasmettere alla clientela per essere scelti. Ho praticato l’ospitalità anche dall’altra parte della barricata, da property manager nella gestione di appartamenti e parlo per esperienza vissuta. Troppi albergatori hanno perso consapevolezza dei fondamentali: soddisfazione del cliente, tempismo nella comunicazione, necessità di ascolto e modifica delle proprie idee ed azioni per saper reagire al cambiamento, cultura della gestione del personale, che va valorizzato e motivato per garantire il supporto che la clientela deve percepire; energia e volontà sono scemate, e sono queste, in prima approssimazione, le motivazioni che hanno consigliato a tanti di gettare la spugna, al netto delle situazioni personali e particolari.
Non altro; e sicuramente non “gli airbnb”.

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  • Redazione Qualitytravel.it

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