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Quello delle gare è un tema molto di attualità che verrà affrontato anche da Digital Mice, il prossimo 13 settembre, in una tavola rotonda che si preannuncia appassionante, alla quale parteciperanno: Alberto Cassone, owner di Alpha Omega Group e tra i firmatari di “Gare Chiare”; Dario De Lisi, owner di Cento Eventi; Franco Gattinoni, presidente Gattinoni Group; Davide Verdesca, President & Founder di Sinergie Live Communication e coordinatore del “tavolo Gare” all’interno del “Club degli eventi”; Luca Corsi, Communication & Events manager di Vorwerk Folletto; e Paolo Teoducci, Brand strategy & Media di Tim (oltre al sottoscritto in qualità di moderatore).
Obiettivo? Un’impresa forse impossibile: codificare le regole di ingaggio delle gare per l’assegnazione di un evento corporate.
Perché? Qual è il problema?
Il problema è stato sollevato – almeno in linea generale – dal manifesto dell’iniziativa “Gare Chiare”, cui hanno aderito al momento ben 94 agenzie di organizzazione eventi. Ma si tratta di un tema sentito da tutti, tanto che anche il “Club degli eventi” ha dato vita a un apposito “tavolo Gare”.
«I bandi di gara per gli eventi di comunicazione – si legge sul sito http://www.garechiare.it – hanno una sempre maggior complessità e richiedono un approfondimento tale che risulta difficile distinguerli da una vera e propria fase di pre-produzione, con il conseguente coinvolgimento di un numero sempre maggiore di professionisti. A fronte di questo investimento, le principali strutture specializzate in eventi chiedono alle aziende un preciso impegno con l’obiettivo di vedere migliorato il rapporto tra cliente e agenzia, in un’ottica di collaborazione fra poli organizzati di professionisti».
Mission impossibile?
Qual è dunque la soluzione proposta da “Gare Chiare”? Destinare l’1% del budget alle agenzie coinvolte, come quota di partecipazione. Cinque i punti chiave che ne spiegano la ratio:
- l’1% permette di riconoscere la fase di gara per quello che è nei fatti: una pre-produzione, cioè una parte integrante del progetto
- l’1% è una quota che potrebbe indurre le aziende a una scelta più responsabile delle agenzie in gara, basata su fattori quali portfolio, professionalità maturata, investimento su nuovi player, ma anche su un adeguato tempo e processo di valutazione
- l’1% potrebbe essere detratto o aggiunto al budget a seconda delle policy aziendali e verrebbe naturalmente assegnato alle sole agenzie concorrenti non aggiudicatarie
- l’1% potrebbe attivare un circolo virtuoso di parziale rimborso dei molteplici soggetti coinvolti nella fase di progettazione, che è diventata sempre più complessa, tecnica e approfondita
- l’1% è il giusto approccio tra chi crede nel mondo degli eventi come territorio di professionalità, serietà, fiducia e opportunità per tutti coloro che lo avvicinano.
Proposta ambiziosa, insomma, che però soffre di qualche limite di applicabilità: prima fra tutti il benestare dei committenti. Del resto, la vexata questio è di annosa memoria e malgrado non si sia ancora giunti a una quadratura del cerchio, il mercato dell’offerta sente periodicamente l’urgenza di proporre una soluzione che riesca a guadagnare il placet anche dal lato della domanda.
Un tira e molla infinito. O forse no
Altro giro, altro regalo, quindi? Dipende…
Il punto, infatti, potrebbe essere un altro: se da un lato è pur vero che l’estrema complessità del tema e la variegata sfaccettatura della realtà del mercato rendono praticamente impossibile individuare una regola buona per tutte le stagioni, dall’altro è altrettanto vero che occorre continuare a parlarne, perché in fondo ciò che più conta è sensibilizzare tutti gli attori, affinché cresca la consapevolezza che un comportamento più omogeneo e consapevole porta vantaggi a tutti.
È soltanto da questa presa di coscienza, in sintesi, che può scaturire un diverso approccio alla questione, possibilmente diffuso e auspicabilmente “spontaneo”.
Chiamatela “moral suasion”, oppure “cultura d’impresa”, come meglio preferite, fatto sta che la condivisione di un medesimo “sistema operativo” capace di mettere la parola fine a una serie di inefficienze e deformazioni molto italiane rientra in una perfetta logica win-win, che per definizione dovrebbe essere accolta a braccia aperte tanto dalle agenzie – le quali non aspettano altro –, quanto dalle aziende, che si troverebbero a eliminare certe pratiche soprattutto per la propria convenienza, più ancora che per quella delle agenzie partner.
Direzione comune
In fondo, meno perdite di tempo per tutti significa più tempo da investire in attività proficue. Per le agenzie questo vorrebbe dire più tempo per partecipare a gare che offrono una concreta possibilità di aggiudicazione, mentre per le aziende significherebbe sprecare meno tempo nella valutazione di progetti che quasi certamente non verranno presi in considerazione.
Dal punto di vista squisitamente business, da un lato il tempo risparmiato si traduce in profitto, dall’altro in riduzione dei costi.
Ecco perché è davvero interesse di tutti riuscire nell’arduo compito di trovare una strada da percorrere se non insieme, almeno guardando nella stessa direzione.