Qualche giorno fa, il 28 aprile per l’esattezza, sul profilo Facebook ufficiale di “la Repubblica” è stato pubblicato un post che dava conto dell’ennesima polemica tra Beppe Grillo e i giornalisti (quale non ha importanza in questo caso, una delle tante).
Pochi minuti dopo, l’account di Repubblica (lo stesso che aveva firmato il post) ha pubblicato un commento che recitava testualmente così: «Povero beota delirante…».

Crisis management, questo sconosciuto

Sì, avete capito bene, l’insulto è stato firmato da Repubblica “in persona” e non da un troll, da un hater o da un lettore qualsiasi.
È evidente, quindi, che qualcuno dello staff che si occupa della fanpage di Repubblica ha commesso l’errore di scrivere un commento personale mentre era ancora loggato come “Repubblica” (presumibilmente convinto di aver fatto lo switch dal profilo del giornale a quello personale). Ma, cosa ancor più grave, la reazione dei social media editor del quotidiano si è fatta attendere a lungo e così il commento è rimasto on-line per un tempo sufficiente a scatenare una lunga serie di reazioni, che ha poi “costretto” la redazione a pubblicare una nota di scuse verso i lettori e ovviamente anche verso Beppe Grillo.

È uno sporco mestiere, ma qualcuno lo deve pur fare

Epic fail! Quante volte abbiamo sentito questa espressione applicata al mondo social? Per l’amor di Dio, cose che capitano (e ci culliamo tutti nell’idea che capitino soltanto agli altri), ma che dimostrano quanto sia facile trasformare i social media da utile strumento di “brand reputation” a pericoloso boomerang di “brand sputtanation”.
Al di là, infatti, dell’opinione che ciascuno di noi può avere sul leader del Movimento 5 Stelle e sul suo chiodo fisso contro la categoria dei giornalisti, è innegabile che un colosso dell’editoria come Repubblica non ci faccia una gran bella figura a pubblicare un commento di questo tipo. Come minimo viene da pensare che non abbiano sufficienti risorse dedicate ai social media (e per quanto è noto a me, nessun quotidiano né magazine on-line è davvero ben strutturato in questo senso), oppure che a questo delicatissimo ruolo vengano dedicate figure professionalmente non proprio all’altezza.
Al contrario, dotarsi di figure professionali adeguatamente preparate e di solida esperienza è una delle prime valutazioni da prendere in esame. Se “errare è umano” e “sbagliano anche i migliori” – tutto vero, per carità –, figuriamoci a quali danni incalcolabili ci può esporre il “ragazzino” che costa poco.

Danni collaterali

La rete, infatti, è piena zeppa di tragici errori di comunicazione, andati poi virali con un enorme danno di immagine per chi li ha commessi: da Melegatti (che si attirò le ire della comunità LGBT con un post dal sapore omofobo e che fu costretta a chiedere immediatamente scusa) ad Algida (che in occasione della festa della donna pubblicò la foto di un gelato che voleva somigliare a una rosa, ma in realtà somigliava a ben altro…), da Vanity Fair (per colpa di un’uscita di pessimo gusto sulla tragedia dei profughi siriani nel Natale del 2016) a Piovono Zucchine (ristorante di Brindisi che “giocò” un po’ troppo grevemente con il terremoto avvenuto in centro Italia il giorno prima di Halloween), fino all’ex premier Matteo Renzi, a cui scappò una frase davvero politically incorrect (Tutte tranne il disabile su Facebook, riferita alla scelta della foto che accompagnasse il post sull’inaugurazione di un nuovo ponte ad Alessandria. Ovviamente andavano bene tutte, tranne quella che raffigurava un soggetto molto specifico).

Andare virali spendendo poco: pro e contro

Volete divertirvi? Cercate “epic fail” in rete, ne troverete tanti, vuoi come casi di studio, vuoi con l’invito di boicottare questo o quel marchio come forma di ritorsione. Tutti errori andati virali molto più di quanto i loro autori avrebbero voluto.
Insomma, se “brand sputtanation” di questo tipo possono accadere anche ai giganti, a maggior ragione dovrebbero preoccupare le piccole e medie imprese, che di norma cercano di essere presenti su tutti i canali social, ma investendo soltanto poche decine di migliaia di euro l’anno…
Perché credetemi, la celebre frase di Oscar Wilde: “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli”, a volte è davvero una baggianata.

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