Uno dei miti più duri a morire è che i social network siano gratis o quasi. Sì, perché aprire una pagina su Facebook o LinkedIn, avere un account Twitter o un canale Youtube, creare un profilo su Instagram o Pinterest è “virtualmente” gratuito e quindi che altro dovrebbe servirci? Un po’ di buona volontà per caricare qualche contenuto ogni tanto, meglio se video (tanto ormai la videocamera ce l’ha anche lo smartphone più economico), un po’ di amici a cui chiedere di diventare fan e voilà, il gioco è fatto: i like arriveranno come se piovesse, i nostri post andranno virali e diventeremo tutti ricchi e famosi.

È decisamente una convinzione appagante. Tuttavia i social non sono più gratis da un pezzo (se mai lo sono stati).
Prendiamo Facebook, per esempio, che dei social media è il re indiscusso, con i suoi 1,8 miliardi di utenti (in Italia siamo più di 17 milioni di iscritti).
Facebook non è gratis e non lo sarà mai, soprattutto per le aziende – e come Facebook qualsiasi altra piattaforma social –, anzi costerà sempre di più, per almeno cinque ottime ragioni:

  1. non è una Onlus
  2. mette al centro del proprio interesse la connessione fra i suoi utenti (le persone con i loro amici, e non le persone con le aziende)
  3. il NewsFeed non è illimitato (oggi ci propone circa 300 contenuti al giorno)
  4. l’EdgeRank sta assottigliando sempre di più la portata organica dei post
  5. vale sempre la buona vecchia cara legge della domanda e offerta.

1. Anche una Onlus ha bisogno di soldi

Nessuna azienda al mondo può sostenersi senza introiti economici. Non le Onlus, che per le loro attività, pur senza scopo di lucro, hanno comunque bisogno di fondi e li reperiscono attraverso le fonti più varie: quote di iscrizione, sponsorizzazioni, attività di fundraising, eventi sociali a pagamento…
Figuriamoci i social media, che sono quotati in Borsa e investono milioni di dollari in ricerca e sviluppo.

2. People First (i brand dopo)

I social media esistono perché i loro utenti li utilizzano per interagire con altri utenti. È naturale, quindi, che tutti gli sforzi di una piattaforma come Facebook siano indirizzati a mantenere e accrescere il numero di utenti. A costo appunto di fornire loro un servizio che sembra gratuito (ma ricordiamo sempre il vecchio adagio: “se è gratis, il prodotto sei tu”).

Quello che avviene su Facebook, quindi, è una forma di baratto. Gli utenti utilizzano gratuitamente la piattaforma e in cambio forniscono dati: le loro abitudini, le loro preferenze, le loro propensioni all’acquisto, la loro iscrizione a una newsletter… la loro profilazione come consumatori insomma.

Sono le persone – o per meglio dire, i loro dati – il prodotto che viene venduto da Facebook alle aziende, sempre affamate di potenziali clienti.

Causare una riduzione dell’interazione delle persone sarebbe, quindi, l’inizio della fine. Mai e poi, il buon Mark Zuckerberg introdurrebbe degli elementi di disturbo nel NewsFeed – il riassunto di quello che sta accadendo tra i nostri contatti, che visualizziamo nella “home” al momento del login –, a meno di farlo dietro lauto compenso e sempre con il contagocce.

3. Il NewsFeed screma tantissimo

Ma come funziona un NewsFeed? Funziona scremando i contenuti che potrebbero essere di interesse per ciascun utente così da proporgli soltanto quelli che l’algoritmo ritiene più rilevanti. Si stima che il NewsFeed di Facebook analizzi circa 1.500 post al giorno, di cui soltanto 300 verranno poi visualizzati davvero da ogni singolo utente. È chiaro, quindi, che soltanto una piccola percentuale dei nostri amici visualizzerà un nostro post e ancora peggio, in termini percentuali, ci andrà se siamo la pagina di un brand.

4. L’EdgeRank cambia sempre in peggio (per le aziende)

Il cuore di Facebook è dunque il suo EdgeRank, ovvero l’algoritmo che incide sulla visibilità e, di conseguenza, sulla diffusione di un post o di un qualsiasi contenuto pubblicato da un utente, un gruppo o una pagina. Secondo alcuni studi, oggi la portata organica – cioè gratuita – dei post su Facebook si aggira tra l’1 e il 5 per cento della fan base (all’inizio del 2012 raggiungeva comodamente il 16 per cento) e qualcuno prevede che arriverà presto a zero.

Insomma, anche un colosso come Nike, che ha circa 27 milioni di fan, rischia di raggiungere – gratis – soltanto poche migliaia di persone, salvo inventarsi un contenuto davvero coinvolgente, e quindi virale. Cosa non proprio facilissima e soprattutto non sempre economica (anche la creatività ha un prezzo, no?).

5. Se l’offerta è in diminuzione, i prezzi salgono

Al momento, l’advertising sui social network ha ancora costi abbastanza contenuti (in Italia più che negli Usa, a onor del vero). Questo ha indotto molti a pensare che con un budget risicato si possano raggiungere risultati strabilianti.

Be’, se anche fosse vero – e non lo è – durerà poco, perché come abbiamo visto l’orientamento dell’EdgeRank è chiaro: ridurre sempre di più la portata organica dei post brandizzati, a tutto vantaggio dell’interazione delle persone con altre persone.

Va da sé che, per l’immutata legge della domanda e offerta, chi vorrà continuare a raggiungere una certa quota di fan dovrà rassegnarsi a pagare cifre costantemente in crescita.

Specialmente se vorrà colpire un target utile al suo business, ovvero profilato e realmente interessato.

Rassegniamoci – e organizziamoci di conseguenza –, Facebook non è gratis. E con esso, il social media marketing è tutt’altro che a buon mercato. Anzi, se sommiamo il tempo e le persone da dedicarvi, i contenuti da produrre e le campagne pubblicitarie da pianificare, non soltanto si tratta di uno strumento che costa, ma addirittura costa un bel po’.

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