Il mondo degli eventi è un mondo strano. Soprattutto quello degli eventi B2B, dove non c’è un coinvolgimento diretto del target finale ma si lavora a livello di influencer. L’evento viene organizzato per stupire, per coinvolgere, per dare valore all’azienda che lo organizza e testimoniare la sua solidità, la brand image di prestigio, il suo forte appeal. Il messaggio sotteso è: siamo un “must have” non puoi lavorare con altri che non siamo noi.

E per fare questo, ecco un grande spolvero di location impreziosite, di allestimenti scenografici da theme park, ecco coreografi e registi chiamati a dirigere l’evento, catering con menù ricercati e studiati ad hoc sulla base dei colori aziendali del logo o in sintonia con la struttura ospitante o il tema dell’evento.

Poi naturalmente, non può mancare la star, l’ospite speciale che deve dare un tono, un valore, un messaggio, il contributo attraverso una canzone o un pezzo di cabaret. E qui casca l’asino, come diceva mio nonno che di muli ne sapeva qualcosa per qualche origine siciliana neppure troppo celata. Perché fino alla star, tutto è facile, tutto è naturale, anzi: tutti gli attori della creazione, tutti i partner di progetto, fanno a gara per poter comparire, essere ringraziati, avere un nome in evidenza. Ultimamente invece, i contratti con le star di un evento sono degli slalom tra clausole di segretezza che in confronto la CIA gli fa un baffo.

Ho notato in questi ultimi tempi che i grandi della musica, del cabaret, del teatro, molto meno a dir la verità del giornalismo ma anche lì qualche eccezione non manca, fanno infatti a gara per avere cachet in rialzo e visibilità in ribasso. Ovvero: io vengo, canto, suono, ballo, presento, intervisto, faccio spettacolo, ma solo a condizione che non compaia da nessuna parte che l’ho fatto. E, di conseguenza, sui contratti compare sempre più spesso la clausola per la quale devono essere spenti i cellulari, sono vietati la foto e la diffusione di parti dello spettacolo, la registrazione degli interventi e così via. E naturalmente, le agenzie devono far approvare agli agenti i comunicati stampa, devono garantire che non si diffondano foto o filmati che attestino la partecipazione dell’artista alla convention. Ufficialmente questo avviene per la nobile causa della difesa della propria immagine e della propria privacy.

E se i motivi fossero invece quelli di qualche DJ o rapper che non volevano …perché “il mio pubblico poi mi criticherebbe o mi darebbe del venduto”; di giornalisti che erano schierati e ovviamente, non potevano partecipare a convention di aziende che stavano su opposte barriere o barricate; di cabarettisti che pur rifacendo lo stesso spettacolo già visto in televisione o in teatro, non concedevano la possibilità di citazione per non far sapere che oltre alle “nobili attività di ribelli da palco”, accettano anche delle comparsate a pagamento?

Ecco; tutto ciò mi fa strano. Strano come i cantanti che abbandonano X-Factor perché non possono accettare il mondo dello star system; e allora che cosa ci siete andati a fare? Pensavate forse di entrare in un contenitore ovattato dove provare a suonare per alcuni amici? Non sapevate a priori che la televisione commerciale è poco meno di un tritacarne industriale? Che i personaggi vengono costruiti? Non era sufficientemente chiaro cosa sarebbe successo quando sono stati firmati i contratti (in anticipo) dove era scritto chiaramente che la produzione si riservava il diritto di immagine e di taglio, trasformazione, rielaborazione e montaggio della performance o della vita ripresa in back stage? Sono allibito. Perché se è vero che non si vuole comparire, allora forse sarebbe meglio non partecipare. E anche negli eventi, farlo chiedendo il diritto all’oblio a comparsata finita mi pare un ossimoro per chi vive di spettacolo. Da artisti che non hanno nulla da perdere a parte il compenso, mi piacerebbe il coraggio di un no, piuttosto che un sì condizionato. Non c’è nulla di male a non voler lavorare per conto di un’azienda invece che per il grande pubblico. Ma farsi pagare per vergognarsi di averlo fatto, stona.

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