Oltre 32.000: è questo il numero di strutture del settore alberghiero in Italia. Un numero che fa del nostro Paese il più grande mercato europeo in termini di offerta turistica. E un record che attira molti investitori, i quali, per il 2023, si dichiarano pronti a investire una cifra che raggiunge i 100 milioni di euro. Non a caso, entro la fine del 2023 oltre il 40% delle strutture alberghiere italiane prevede una crescita di fatturato tra il 3% e il 12%, in molti casi quindi, superiore al tasso di inflazione. È quanto emerge dal report “Italian Hospitality Market”, lo studio condotto da Deloitte su oltre 400 attori dell’industria alberghiera italiana.
«Dall’analisi emerge uno scenario molto positivo per quanto riguarda il mercato alberghiero italiano: i gruppi già presenti sul territorio nazionale stanno cercando di ampliare la loro presenza, mentre gli altri cercano di fare il loro primo ingresso nel mercato con l’obiettivo di crescere rapidamente», dichiara Angela D’Amico, Partner e Real Estate Sector Leader di Deloitte Italia.

Le differenze tra aree geografiche

Per quanto riguarda le aree geografiche di maggiore interesse, Nord e Centro Italia vengono preferite dal 58% degli investitori in cerca di asset con rendimenti più stabili, mentre l’86% dei gruppi alberghieri intervistati hanno espresso la propria preferenza per il Centro e il Sud, in quanto rappresentano mercati meno saturi. Le città principali, come Roma, Milano, Firenze e Venezia, sono le mete più ambite sia da investitori che dai gruppi alberghieri, seguite dalle località “Sun & Sand” e dai laghi. Per le altre località, invece, si rileva una difformità di preferenze: gli investitori hanno mostrato un interesse maggiore verso hotel situati in città primarie e in prossimità di mare, seguite dai laghi, con preferenze rispettivamente del 88%, 67% e 38% mentre i gruppi alberghieri sono attratti da investimenti nelle città secondarie.

I differenti modelli gestionali

L’indagine offre anche un’analisi dettagliata dei diversi modelli gestionali alberghieri adottati, tra i quali emerge quello a Gestione Diretta e il management agreement che registrano una percentuale pari al 33%. Tuttavia, l’ingresso di nuovi investitori con capitali importanti sta facendo aumentare la diffusione del Management Contract. Dal punto di vista della proprietà, uno dei principali vantaggi di tale modello consiste nel potersi servire di un Know-How specialistico di settore, promuovendo e commercializzando la propria struttura attraverso canali internazionali e un marchio riconosciuto dal mercato. Di contro, lo svantaggio principale è legato al rischio di impresa, che esercita un peso ancora importante nella scelta della formula di management, disincentivando i proprietari delle strutture ad adottare questo modello.

«Il settore si trova di fronte a un contesto particolarmente positivo, in cui convergono gli interessi di tutti i player coinvolti: gli investitori pronti a destinare importanti capitali al mercato alberghiero italiano, i gruppi sempre più intenzionati a espandersi nel Paese e i direttori dei singoli hotel che vedono con grande ottimismo l’aumento delle performance gestionali nei prossimi anni», commenta D’Amico. «Nonostante vi siano alcuni aspetti che possono minacciare questa crescita, tra i quali l’aumento dei costi energetici, il deterioramento delle condizioni di credito, le difficoltà di reperimento di personale qualificato e l’inflazione che influisce sugli investimenti, ci sono tutti i presupposti affinché le strutture del Bel Paese possano migliorare la propria competitività con i player più importanti a livello mondiale», conclude la Real Estate Sector Leader di Deloitte.

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