Airbnb è forse il portale più odiato dagli albergatori: ciclicamente viene accusato di concorrenza sleale, di competere con gli alberghi senza dover sottostare alle loro stesse norme, di favorire l’abusivismo e il nero, solo per dirne alcune.
Insomma, si tratta di un concorrente temuto, malgrado alcune ricerche indichino che l’impatto negativo di Airbnb sul mercato degli hotel sia circoscritto a poche tipologie di albergo di fascia medio bassa. In una ricerca di STR effettuata su 13 destinazioni mondiali è stato anche dimostrato che in 12 casi il mercato degli hotel è cresciuto di pari passo a quello di Airbnb nel periodo dal 2013 al 2016: un chiaro indizio che c’è spazio per tutti.
Nonostante questo, a Milano un’associazione di albergatori ha creato un portale per mettere in evidenza le differenze di approccio al mercato da parte delle piattaforme di home sharing rispetto all’ospitalità tradizionale. Lo trovate all’indirizzo http://www.hotelvsairbnb.it/ e dà perfettamente l’idea di ciò che viene contestato alla startup di San Francisco.
Su una cosa però penso possiamo essere tutti d’accordo: di Airbnb non si può ignorare l‘esistenza. Esiste e ha successo. Per questo conviene che gli albergatori lo studino e imparino alcune lezioni che magari possono dare una mano al rilancio anche del loro hotel.
Ve ne propongo cinque.
Politiche di cancellazione e pagamenti
Airbnb ha educato i suoi ospiti a pagare prima e a politiche di cancellazione rigide: al momento di una prenotazione l’importo viene prelevato dalla carta di credito e lo stesso importo viene accreditato all’host solo al momento del check in. Malgrado la maggior parte delle Ota racconti che il segreto per avere più prenotazioni è quello di lasciare la cancellazione gratuita, nessuno spiega che questo è anche il segreto per massimizzare il numero di disdette, magari sotto data o comunque in tempo non utile per occupare nuovamente le camere. Airbnb dimostra invece che con regole chiare si possono incassare prima i soldi e limitare le cancellazioni, risolvendo anche il problema delle preautorizzazioni e delle prepagate scadute: se non si hanno soldi non si può prenotare. La lezione per gli alberghi è che si può essere più coraggiosi sull’advance booking, rendendo più convenienti le camere prepagate e più rigidi i termini di cancellazione per evitare le cancellazioni dell’ultimo minuto di chi ha trovato uno sconto online.
La diversificazione dell’offerta
Airbnb non si limita solo a vendere camere ma cerca di espandere il proprio raggio d’azione: in diverse città sta testando la vendita di esperienze turistiche, ha comprato un’app per la prenotazione dei ristoranti e sta studiando la possibilità di vendere biglietti per musei e attrazioni. Anche in albergo bisogna cercare di andare oltre il core business e sfruttare ogni occasione per vendere servizi ancillari a valore aggiunto: dalle convenzioni con ristoranti e attrazioni turistiche fino a una linea wifi premium. E non limitarsi al servizio ma andare oltre, cioè creare le condizioni perché gli ospiti ne usufruiscano: ad esempio dotare le camere di Netflix (tramite Smart Tv dove il cliente può usare il proprio abbonamento) e far pagare di più chi vuole un wifi più veloce per una visione in HD.
La scelta dei canali distributivi
Airbnb non ha ceduto il proprio database alle lusinghe dei metamotori: preferisce distribuire solo sul proprio sito. Ha però stretto accordi con piattaforme come Concur per il business travel, così da essere presente su un mercato che sarebbe stato più difficile da raggiungere altrimenti. In pratica seleziona il mercato in base all’obiettivo.
Allo stesso modo l’albergatore non deve stare indiscriminatamente su tutte le Ota ma solo su quelle che gli garantiscono i migliori ritorni sui mercati da cui proviene la clientela.
L’impegno sociale
In caso di calamità naturali Airbnb è sempre in prima linea a offrire ospitalità a chi è in difficoltà. Lo scorso 5 febbraio ha lanciato sulla propria home page una campagna internazionale sull’accoglienza con lo slogan #weaccept rivendicando il proprio contributo in 54 emergenze a livello globale e invitando la propria community a dare disponibilità per una buona causa. Encomiabile, e anche con parecchi benefici in termini di ritorni di immagine.
Nel proprio piccolo tutti possono impegnarsi in una buona causa offrendo ospitalità a chi può averne bisogno. Non ha costi eccessivi e suscita un’awareness positiva.
L’attività di lobbying con le istituzioni
Questo riguarda più le associazioni di categoria, che in gran parte sono comunque composte da albergatori: Airbnb sfrutta il proprio potere contrattuale per negoziare con i governi locali e nazionali leggi a proprio favore. Non sempre ci riesce, vedi Berlino e New York, ma ha saputo contrattare buoni accordi a Londra, ad Amsterdam e a Milano. Ha anche assunto un pool di ex sindaci di grandi metropoli per aumentare il dialogo con le istituzioni e in alcuni casi si è offerta di incassare la tassa di soggiorno per conto delle amministrazioni. In nessun caso però ha chiesto di mettere paletti all’attività degli alberghi. Per questo ho l’impressione che se le associazioni di categoria mettessero lo stesso impegno che viene usato per contrastare Airbnb nel chiedere condizioni migliori per il proprio settore otterrebbero sicuramente risultati più concreti.