Secondo una ricerca commissionata da CWT, società globale di gestione dei viaggi d’affari, solo il 35% dei viaggiatori d’affari si sente molto sicuro di non compromettere la sicurezza dei dati della propria azienda durante la trasferta. I viaggiatori americani risultano inoltre molto più tranquilli (46%) rispetto a quelli dell’Asia Pacifico (28%) o dell’Europa (27%). La percentuale scende addirittura al 22% per i viaggiatori d’affari italiani intervistati.
«Questi risultati mostrano che c’è ancora molto da fare per educare i viaggiatori su come proteggere i dati della loro azienda. Ad esempio, connettersi negli spazi pubblici può mettere a rischio i dati aziendali – ha dichiarato Andrew Jordan, Executive Vice President e Chief Technology Officer di CWT. – La consapevolezza e la formazione sono fondamentali per difendersi da possibili violazioni della sicurezza».
Durante i viaggi, le tre situazioni percepite come più pericolose dagli intervistati sono il furto o la perdita dei computer portatili o di altri dispositivi mobili (29%), l’uso di un Wi-Fi pubblico (21%) e il lavoro sul proprio laptop o dispositivo in luoghi non protetti (9%). A queste fanno seguito la condivisione involontaria di documenti aziendali (9%), l’accesso alle e-mail aziendali (8%), l’apertura di un file o di un sito web non consentito (8%) e la disponibilità di documenti cartacei (6%). La percezione dei viaggiatori italiani è abbastanza simile a quella dei colleghi stranieri, con scostamenti limitati a pochi punti percentuali. Solo nel caso del lavoro sul proprio laptop o dispositivo in aree non protette, la differenza raggiunge i 6 punti percentuali considerato che solo il 3% degli intervistati provenienti dal nostro Paese si dichiara preoccupato.
Tali ansie sono giustificate dal fatto che quasi la metà dei viaggiatori d’affari (46%) ha vissuto una violazione della sicurezza mentre navigava online o durante l’accesso, percentuale che si riduce al 37% per i viaggiatori d’affari della Penisola. E non è stato l’unico problema incontrato: il 37% degli intervistati (36% per gli italiani) ha ammesso di aver scaricato file da mittenti non identificati – e la stessa percentuale ha aperto un’email di phishing (27% per gli italiani).
Fortunatamente, la maggior parte dei viaggiatori ha preso provvedimenti quando è venuta a conoscenza di una violazione della sicurezza o dei dati. Il 37% degli intervistati ha dichiarato di aver immediatamente spento il dispositivo, il 25% di aver segnalato l’accaduto alla propria azienda e il 34% di averlo comunicato al reparto IT. Leggermente diverse le reazioni dei viaggiatori del nostro Paese: il 37% ha notificato tempestivamente l’evento al dipartimento IT e il 31% ha spento subito il dispositivo, mentre resta uguale la percentuale (25%) di coloro che hanno riportato tutto all’azienda. Il 62% degli intervistati – 67% nel caso dell’Italia – ha confermato di saper segnalare un’email di phishing in modo appropriato.
«Queste percentuali possono sicuramente migliorare notevolmente con una migliore formazione sulla sicurezza dei dati» ha affermato Jordan.
Meno del 20% dei viaggiatori d’affari ha dichiarato di aver ricevuto dalla propria azienda diverse comunicazioni formali e indicazioni sulla sicurezza dei dati e di Internet, mentre il 34% ha ricevuto alcune indicazioni su cosa non fare. Per l’Italia quest’ultima percentuale sale al 41%, mentre si riduce all’11% quella di chi dichiara di ricevere comunicazioni formali e frequenti.